Letture geocentrate: alcuni percorsi recenti
DOI:
https://doi.org/10.13136/2281-4582/2015.i5.276Abstract
Il paradigma spaziale consegnatoci dalla tradizione letteraria modernista era sotteso da un’occulta ossessione per il tempo: la “forma spaziale” – teorizzata in un classico saggio di Joseph Frank (e criticata in un altrettanto classico saggio di William Spanos) come un’emulazione, da parte delle arti lineari della parola, della sincronia percettiva propria delle arti visive – non era tanto un modo per ingaggiare i luoghi nella loro materialità, quanto un antidoto a una percezione disforica del tempo, che formalizzava lo spazio nella sua (presunta) staticità e permanenza. Ormai avvezza, nella sua condizione postuma, alla perdita di ogni teleologia, la letteratura postmoderna ha spesso invertito il segno di questo rapporto, abbracciando lo spazio come dimensione primaria del proprio Dasein, ambito privilegiato e ancoraggio – per quanto precario – di quella che Brian McHale ha a suo tempo definito come un’interrogazione ontologica sul mondo.
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