L'isolamento come spazio di rottura nel mondo accademico
DOI:
https://doi.org/10.13136/2281-4582/2016.i8.382Abstract
Traduzione di Myriam di Maio di Exile as a Space of Disruption in the Academy.
Come si fa a non isolarsi lavorando nell’ambiente accademico, specie se si aborrono le combriccole, la mediocrità, le forme isteriche di rancore, le ripicche e quella produzione infinita di ricerche irrilevanti (se non talvolta immorali) che caratterizza sempre di più l’università delle multinazionali? Oggi gli spazi di isolamento dalla vita pubblica occupano un numero eccessivo di istituzioni universitarie, riducendole a zone morte dell’immaginazione, impegnate in una difesa drastica delle loro posizioni degradate e in una corsa al prestigio e ai profitti. In troppi dipartimenti accademici la dirigenza è vuota, debilitante e chiusa, priva di qualsiasi apparente visione o senso di responsabilità sociale. Sono troppi gli amministratori che, imitando la logica strumentale di una cultura degli affari, mancano di una visione, di una conoscenza generale e della volontà di fare chiarezza sul ruolo dell'università in una democrazia. Troppi sono gli individui coinvolti in innumerevoli comitati, travolti dalla mediocrità che loro stessi o altri promuovono, e intimoriti da chiunque varchi i limiti dell’omologazione e della cortesia burocratica. L’eccellenza appartiene ormai a una formula vuota usata come criterio per le assunzioni ma estranea al lavoro o alla ricerca svolta dal corpo docente universitario, spesso svilito o malvisto per il compito che svolge.
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